Decreto Correttivo, tra l’incompiuto subappalto e le misteriose categorie a qualificazione obbligatoria

di Arrigo Varlaro Sinisi [1]

1.- Le novità in tema di subappalto

Lo scorso 21 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema del decreto Correttivo al Codice dei contratti pubblici del 2023.

Tra le molte novità, si segnalano quelle in tema di “subappalto”; le principali sono tre:

la prima riguarda l’obbligo di stipulare i contratti di “subappalto” in misura non inferiore al venti per cento delle prestazioni subappaltabili, con PMI; resta ferma la possibilità per gli operatori economici di indicare nella propria offerta una diversa soglia di affidamento delle prestazioni subappaltabili alle PMI motivate da ragioni legate all’oggetto o alle caratteristiche delle prestazioni o al mercato di riferimento (art. 119, c. 2).

La seconda prevede l’obbligo di inserimento nei contratti “subappalto” e nei “subcontratti” di clausole di revisione dei prezzi, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 60 e in coerenza all’Allegato II-2-bis.

La terza prevede la possibilità per i soli subappaltatori di utilizzare i CEL relativi alle prestazioni da essi eseguite (art. 119, c. 20).

Se la prima di tali novità ha chiaramente lo scopo di favorire l’affidamento dei lavori in subappalto a PMI, la seconda prevede come cogente l’applicazione dell’istituto della revisione prezzi anche nei contratti di subappalto, all’evidente fine di elevare le garanzie connesse al subappalto. Al tempo stesso, consente di evitare l’indebito arricchimento dell’appaltatore, che si verificherebbe nel caso in cui la revisione prezzi fosse incamerata dal medesimo, ma non traslata sul subappaltatore (in tal senso, si esprime la Relazione al decreto Correttivo).

Si tratta ora di capire se tali disposizioni – che da un lato prescrivono all’appaltatore come orientare la scelta dei subappaltatori, e dall’altro determinano il contenuto economico di una clausola del contratto di subappalto – siano in linea con le direttive dell’Unione Europea in materia di appalti. Ciò tenuto conto anche delle indicazioni che nel recente passato sono pervenute in materia di subappalto sia dalla Corte di Giustizia Europea sia dalla Commissione Europea. Entrambe hanno infatti affermato che le norme contenute nel Codice del 2016, che imponevano divieti e/o limitazioni al subappalto, erano ostative ai principi di libertà di organizzazione degli operatori economici, previsti dalle direttive comunitarie.  Si pensi, ad esempio, ai limiti quantitativi alle prestazioni subappaltabili, previsti dall’art. 105 del D.Lgs n. 50/2016; al divieto di applicare ai subappaltatori ribassi superiori al 20% dei prezzi contrattuali; al divieto di subappalto a cascata ecc.

Si avvertiva effettivamente l’esigenza di tali novità, così come impostate dal legislatore ?

Per quel che concerne l’imposizione di affidamenti di subappalti in quota parte riservati alle PMI appare, di fatto, un falso problema. È tutt’altro che frequente, infatti, che i contratti di subappalto siano affidati a “grandi imprese”.

Più rilevante invece appare essere la seconda modifica che impone l’inserimento nei contratti di subappalto e nei sub-contratti di una clausola dal contenuto economico: la “revisione dei prezzi”.

Come ricordato, la Relazione di accompagnamento allo schema di decreto Correttivo afferma che scopo di tale norma è di evitare un ingiustificato arricchimento dell’Appaltatore su somme dovute al subappaltatore. Affermazione che suscita qualche perplessità. Infatti, nel caso in cui sia l’appaltatore a pagare al subappaltatore il corrispettivo per le prestazioni da quest’ultimo eseguite, lo stesso appaltatore riconoscerà al subappaltatore la r.p. sui prezzi del contratto di subappalto che, quasi certamente, sconteranno un ribasso rispetto ai prezzi del contratto d’appalto. Ne consegue che l’appaltatore tratterà per sé l’importo della r.p. sulla percentuale di ribasso applicato al subappaltatore/sub-contraente, realizzando così comunque quell’ingiustificato, “seppur contenuto”, arricchimento che il legislatore del decreto Correttivo si era prefigurato di scongiurare.

Forse tutto ciò poteva essere evitato semplicemente prevedendo che in caso di pagamento diretto del subappaltatore o del sub-contraente da parte della stazione appaltante, quest’ultima sarebbe tenuta a corrispondere al subappaltatore la r.p., indipendentemente dal contenuto delle clausole del contratto di subappalto. In tali casi, nulla sarebbe corrisposto all’appaltatore a titolo di r.p. relativamente alle prestazioni eseguite dal subappaltatore/sub-contraente.

Quanto poi alla previsione in base alla quale i CEL possono essere utilizzati dai soli subappaltatori per ottenere o rinnovare l’attestazione di qualificazione, essa appare una scelta logica e coerente con il sistema di qualificazione, poiché consente l’utilizzo di tali certificati solo da parte di chi ha effettivamente eseguito le relative prestazioni.

2.- Il “mistero” delle categorie a qualificazione obbligatoria

Tra le novità introdotte dal Correttivo, nulla si dice sulla distinzione fra categorie di lavori a qualificazione obbligatorie e quelle a qualificazione non obbligatoria, tema che ai più è apparso subito come una lacuna: esiste tuttora una tale distinzione nel Codice del 2023?

E ancora, il Correttivo nulla dice circa quali siano le categorie di lavori “super specialistiche” (cosiddette S.I.O.S.- strutture, impianti ed opere speciali), relativamente alle quali le stazioni appaltanti possono imporre l’esecuzione diretta ad opera degli affidatari (leggasi: divieto di avvalimento – art. 104 comma 11 – e di subappalto – art. 119, comma 2).

La giurisprudenza pare fornire al riguardo indicazioni contrastanti.

Accade così che secondo taluna giurisprudenza (T.R.G.A. Bolzano, 6 marzo 2024, n. 62) nel silenzio del Codice del 2023, la lacuna sarebbe colmata dall’art. 12 del d.l. n. 47/2014, convertito con la legge n. 80/2014.

Anzi, a ben vedere è la stessa la Relazione di accompagnamento al Codice del 2023 ad evidenziare come la questione dell’ammissibilità del subappalto per l’esecuzione dei lavori riguardanti le categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria è oggi desumibile dalla perdurante vigenza dell’art. 12, del citato d.l. n. 47/2014.

Tale norma venne promulgata nel 2014 allo scopo di colmare un vuoto normativo conseguente all’annullamento, da parte del Consiglio di Stato, dell’art. 107 co. 2 d.P.R. n. 207/2010 (contenente l’elenco delle SIOS).

Tale articolo 12 distingue le categorie di opere a qualificazione obbligatoria da quelle a qualificazione non obbligatoria (comma 2); inoltre, nell’ambito di quelle a qualificazione obbligatoria, individua le cosiddette categorie “super specialistiche” (SIOS) (comma 1).

Ebbene, secondo taluna giurisprudenza, trovando tutt’oggi applicazione l’art. 12 citato, vige ancora la distinzione contenuta tra categorie di lavori a qualificazione obbligatoria e non obbligatoria (Tar Piemonte, sez. II, 16 gennaio 2024, n. 23; Tar Puglia Sez. I 5 aprile 2024, n. 422).

Per contro, secondo altra giurisprudenza (TAR Calabria 26 ottobre 2023 n. 782; Tar Piemonte, sez. II, 16 gennaio 2024, n. 23), pur nella perdurante vigenza dell’art. 12 citato, alla luce del Codice del 2023 non vi è più spazio per la distinzione di categorie a qualificazione obbligatoria e categoria a qualificazione non obbligatoria. Infatti, il superamento di tale distinzione si armonizza perfettamente con l’art. 2 comma 2 del dell’allegato II.12 al Codice, laddove è prescritto che “La qualificazione in una categoria abilita l’operatore economico a partecipare alle gare e a eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto”. Tale previsione fa dedurre che per “eseguire i lavori” è necessario essere in possesso di adeguata qualificazione. Pertanto, ad avviso di tale giurisprudenza, tutte le categorie di opere scorporabili, sia generali che specializzate, dal 1° luglio 2023 devono considerarsi a qualificazione obbligatoria.

Insomma, nel “silenzio” del Codice – ed ora decreto Correttivo – spetta agli operatori del settore l’opzione di scegliere l’orientamento giurisprudenziale cui aderire.

Connesso al tema della qualificazione, vi è poi quello legato all’individuazione dei presupposti per l’indicazione delle categorie di lavori nel progetto e negli atti di gara.

Ai sensi dell’art. 31 comma 3 dell’all. I.7 al Codice, le varie voci di lavoro del computo metrico estimativo, in sede di progetto esecutivo, vanno aggregate secondo le rispettive categorie di appartenenza, generali e specializzate, allo scopo di rilevare i rispettivi importi, in relazione ai quali individuare la categoria prevalente e le categorie scorporabili; nell’ambito di queste ultime vanno poi individuate le cosiddette categorie super specialistiche (SIOS).

Secondo taluna giurisprudenza, trovando applicazione l’art. 12 del D.L. n. 47/2024, si applicano anche le soglie stabilite dall’art. 108 co. 3 del d.P.R. n. 207/2010, atteso che il richiamo all’art. 108 co.3 costituisce un “rinvio fisso” (TAR Toscana 15 ottobre 2024, n. 01177; TAR Campania Sez. I 4 novembre 2024 n. 5878).

Ne consegue che le categorie generali e specializzate da indicare nel progetto e negli atti di gara sono (o meglio, dovrebbero essere) quelle di importo singolarmente superiore al dieci per cento dell’importo complessivo dell’opera o lavoro, ovvero di importo superiore a 150.000 euro.

Il Codice, tuttavia, non contiene un’esplicita previsione in tal senso.

Il decreto Correttivo poteva essere l’occasione per fare chiarezza su tutto quanto sopra detto: invece, ove tale silenzio dovesse permanere anche nella versione che sarà pubblicata, non resta che rimettersi ancora una volta alle indicazioni che provengono dalla giurisprudenza, con buona pace della certezza del diritto.


[1]          In corso di pubblicazione sulla Rivista Appalti&Contratti, ed. Maggioli novembre 2024.