di Massimo Gentile1
Si segnala un’interessante Ordinanza cautelare del Tar Lazio (sez. IV, n. 1035 del 14 marzo 2024) sul tema del limite temporale di rilevanza delle cause di esclusione di cui all’articolo 95 del Codice.
Come noto, l’articolo 95, comma 1, del Codice annovera, tra le “cause di esclusione non automatica”, la commissione di un illecito professionale grave, le cui fattispecie sono indicate all’articolo 98.
Tra le fattispecie configuranti un illecito professionale grave rientra la “contestata commissione” di taluno dei reati di cui all’articolo 94, comma 1 – per i quali, giova rimarcare, in caso di condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, scatta l’automatica esclusione dalla gara – e la “contestata o accertata commissione” di taluno dei reati esplicitati alla lettera h) del comma 3 del medesimo articolo 98.
Il D.lgs. n. 36/2023 – a differenza del precedente Codice2 – individua in modo chiaro il lasso temporale nell’ambito del quale siffatte situazioni assumono rilevanza ai fini della partecipazione alla gara del concorrente e, pertanto, la stazione appaltante è tenuta a valutarle onde accertare la sussistenza o meno di un grave illecito professionale.
Siffatta individuazione si pone in linea con l’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE, il quale stabilisce che gli Stati membri sono chiamati a determinare “il periodo massimo di esclusione”, precisando che “se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4” (paragrafo, quest’ultimo, che – alla lett. c) – contempla la causa di esclusione dell’operatore economico che si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali).
Ebbene, a sensi dell’articolo 96, comma 10, del Codice, l’illecito professionale grave correlato alla contestata commissione dei richiamati reati assume rilevanza per “tre anni” decorrenti “dalla data di emissione di uno degli atti di cui all’articolo 407-bis, comma 1, del codice di procedura penale oppure di eventuali provvedimenti cautelari personali o reali del giudice penale, se antecedenti all’esercizio dell’azione penale”.
Ciò sta, dunque, a significare che la fattispecie potenzialmente escludente si concretizza con:
- l’esercizio dell’azione penale da parte del PM mediante formulazione dell’imputazione ovvero richiesta di rinvio a giudizio;
- l’assunzione di provvedimenti cautelari personali o reali del giudice penale, se antecedenti all’esercizio dell’azione penale.
Una volta delineatasi la fattispecie potenzialmente escludente inizia a decorrere il triennio che costituisce il limite temporale decorso il quale la “contestata o accertata” commissione del reato perde di rilevanza.
Il dubbio interpretativo che la norma non aiuta a dissipare è se un eventuale ulteriore provvedimento assunto, nell’ambito del procedimento penale, successivamente al verificarsi di una delle situazioni sopra riportate, possa determinare o meno il “riavvio” del termine triennale.
La logica ed il buon senso porterebbero ad escludere detta possibilità, in quanto consentire il capovolgimento della “clessidra”, in presenza di un “nuovo” provvedimento intervenuto durante la maturazione del triennio, si pone in contrasto con la ratio della richiamata previsione codicistica che è, evidentemente, quella di evitare che un operatore economico possa subire le conseguenze, sotto il profilo amministrativo della partecipazione a gare di appalto, di un procedimento penale che si sta oltremodo prolungando.
In questo senso sembra porsi l’Ordinanza del Tar Lazio in esame.
Il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale romano riguardava il ricorso avverso un provvedimento di sospensione di un operatore economico da tutte le qualificazioni attive e, dunque, dall’iscrizione all’Albo dell’Elenco Unico degli Operatori Economici di una stazione appaltante.
Si legge nell’Ordinanza che il ricorso “appare assistito da idoneo fumus boni iuris con riferimento alla contestazione concernente il superamento del limite temporale massimo stabilito dall’art. 96, comma 10, lett. c), n. 1, del d.lgs 36/2023”.
Più nel dettaglio, nel caso di specie, dalla data di emissione della richiesta di rinvio a giudizio erano decorsi tre anni; tuttavia, secondo la tesi sostenuta dalla stazione appaltante, “il sopraggiungere (dopo la richiesta di rinvio a giudizio) del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 429 c.p.p. comporterebbe la possibilità di prescindere dalla decorrenza dei tre anni”.
Giova rimarcare che il decreto che dispone il giudizio è l’atto di impulso processuale con il quale il Giudice dell’udienza preliminare determina il passaggio alla fase dibattimentale del giudizio di primo grado e, nel contempo, opera la vocatio in iudicium, convocando l’imputato davanti all’Autorità giudiziaria che dovrà giudicarlo nella determinata causa. Trattasi, quindi, di un provvedimento (peraltro inoppugnabile) di particolare rilevanza, atteso che esso determina l’avvio del processo vero e proprio nei confronti dell’imputato.
Ebbene, il Tar Lazio ha ritenuto che la tesi dell’amministrazione “non sembra trovare riscontro nella disciplina dettata dagli artt. 94 e ss. del d.lgs 36/2023” e, in tal senso, ha accolto l’istanza cautelare di sospensione dei provvedimenti impugnati.
In attesa della sentenza che definirà il giudizio, è possibile affermare che la posizione del Tar costituisce, allo stato, un tassello confermativo della correttezza della sopra esposta lettura dell’articolo 96, comma 10, e, dunque, della necessità di considerare il momento di avvio della decorrenza del triennio come una sorta di punto di “non ritorno”.
Va rilevato che un’impostazione di tal genere porta alla conseguenza che una sentenza di condanna intervenuta a distanza di oltre tre anni dalla richiesta di rinvio al giudizio vada completamente ignorata dalla stazione appaltante in sede di valutazione del possesso dei requisiti di partecipazione ad una gara.
Ciò in quanto, decorsi tre anni dalla richiesta di rinvio a giudizio del PM (o dall’assunzione di provvedimenti cautelari personali o reali antecedenti all’esercizio dell’azione penale), la fattispecie criminosa non assume più alcuna rilevanza ai fini della configurabilità di un grave illecito professionale ai sensi dell’articolo 98.
Tale impostazione è destinata a produrre effetti soprattutto in relazione ai reati esplicitati alla lettera h) del comma 3 di detto articolo 983, per i quali l’intervenuta decorrenza del triennio funge da vero e proprio “colpo di spugna” e, pertanto, una eventuale successiva condanna, anche in via definitiva, è insuscettibile di determinare effetti preclusivi alla partecipazione ad una gara.
Per i reati di cui all’articolo 94, comma 1, la situazione è differente in quanto, una volta decorsi i tre anni, non è più configurabile un illecito professionale grave ma, in caso di successiva condanna definitiva, si delineerebbe la causa di esclusione automatica di cui al medesimo articolo 94.
Trattasi quindi di un effetto preclusivo ad “intermittenza”.
In buona sostanza, mai come in questo caso, la disciplina di legge sembra avere i connotati di una coperta particolarmente corta che qualcosa lascia necessariamente scoperto.
Dipende solo da come si tira la coperta…
Note
1 Pubblicato su www.appaltiecontratti.it del 12 aprile 2024
2 La giurisprudenza maturata sul D.lgs. n. 50/2016 ha avuto di affermare che “L’art. 80, comma 5, lett. c), cit., non contempla un generale limite cronologico, superato il quale i fatti idonei a mettere in dubbio l’affidabilità o l’integrità professionale dell’operatore economico non potrebbero assumere rilevanza come gravi illeciti professionali” (Consiglio di Stato, sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575). Sempre secondo la giurisprudenza “non è indispensabile che i gravi illeciti professionali che devono essere posti a supporto della sanzione espulsiva del concorrente dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lg. n. 50 del 2016 siano accertati con sentenza, anche se non definitiva, ma è sufficiente che gli stessi siano ricavabili da altri gravi indizi” (Consiglio di Stato, sez. IV, 7 ottobre 2022 n. 8611 che richiama sez. V, n. 4240/2020 e n. 393/2021).
3 Trattasi dei seguenti reati: abusivo esercizio di una professione, ai sensi dell’articolo 348 del codice penale; bancarotta semplice, bancarotta fraudolenta, omessa dichiarazione di beni da comprendere nell’inventario fallimentare o ricorso abusivo al credito, di cui agli articoli 216, 217, 218 e 220 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; reati tributari ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, delitti societari di cui agli articoli 2621 e seguenti del codice civile o delitti contro l’industria e il commercio di cui agli articoli da 513 a 517 del codice penale; reati urbanistici di cui all’articolo 44, comma 1, lettere b) e c), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con riferimento agli affidamenti aventi ad oggetto lavori o servizi di architettura e ingegneria; reati previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.